Il fosso - LAUDOMIA BONANNI

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Il fosso

Le opere

Il racconto breve, la short story, la così detta novella, in Italia - malgrado una tradizione che va dal Novellino fino a Pirandello – sembra nascere e morire al momento del consumo, cioè sulle pagine dei  nostri quotidiani. Il racconto breve, se è veramente artistico, è troppo conciso, intellettuale e formalmente perfetto per poter aspirare agli applausi del gran pubblico. Cecov, Verga, la Mansfield e il nostro quasi dimenticato Albertazzi hanno composto i loro racconti con un rigore che molti credono possibile solo nell’ordine della lirica. Possono perciò essere ammirati da coloro che amano la poesia anche se questa  si presenta mascherata, ma deluderanno i cercatori di fatti, quelli che leggono per sapere come va a finire. Un po’ a parte resta il caso di Pirandello che trova lettori, come ne ha probabilmente ancora Maupassant, sensibili al formicolio, al variegato mutare di una massa di vita fondamentalmente immobile ma ricca di elementi colti sul vivo con naturalistica precisione. Piacciono perché sono autori relativamente facili, che  non vuol dire volgari: Non indicano però una via aperta a tutti, anche perché oggi le cronache romanzate dei giornali e delle riviste «fanno racconto», sostituiscono il racconto.
Da anni la moda tende perciò alla novella non breve ma semi-breve, di trenta-cinquanta pagine, talvolta anche di cento, che permette lo sviluppo di un’azione ma vuole anche concentrazione e forza sintetica. Racconti lunghi, o romanzi brevi, hanno scritto, magistralmente Cecov, Hardy, Thomas Mann (lui così diffuso nei romanzi), Hemingway e tanti altri, fissando così le linee di un genere assai moderno, particolarmente gradito ai lettori dei grandi magazines illustrati. Anche da noi alcuni scrittori battono o batteranno questa strada, finora sacrificata alle esigenze di spazio del cosiddetto elzeviro da giornale.
Ho qui il libro di una donna di cui non conoscevo neppure il nome, Laudomia Bonanni, (Il fosso, ed. Mondadori, collez. La Medusa degli Italiani), composto di soli quattro racconti, due lunghi e due brevi; e per leggerlo ho dovuto vincere una certa prevenzione perché il libro è uscito da un concorso, ha vinto un premio letterario, quelli di certi «Amici della Domenica» di cui non  ho alcuna diretta informazione. Il moltiplicarsi dei concorsi, la leggerezza con cui si compongono le giurie (spesso formate da uomini di paglia quando il nome del premiato è già di dominio pubblico) hanno fatto sì che i libri laureati cadono nel vuoto che si meritano, se proprio non vale la pena di leggerli. Con un sospiro di sollievo debbo però riconoscere che esistono eccezioni e che questa Laudomia meritava veramente di essere tolta dall’ombra. Abruzzese alle prime armi, giovane non so quanto, Laudomia Bonanni è lodata, nel verdetto della giuria, per la sua capacità di «aggredire i suoi argomenti» e riconosciuta immune da «cifre della moda impropriamente chiamata neo-realista». Se bene intendo si intendeva così riconoscerle forza di stile e indipendenza da certi modelli americani. Ma di neo-realismo si può parlare anche per lei, pur senza volerle imporre una etichetta. Non imita gli americani, il suo realismo è quello di certi racconti di Joyce (I morti) ma non sempre ha il coraggio di tagliar corto con quella troppo vera «verità» di certa nostra letteratura regionale (del mezzogiorno soprattutto) che ha appesantito talora il Verga stesso. Se riuscirà a diventare più asettica e cederà meno alla tentazione (oggi così femminile) di una scrittura intensamente artistica, pregnante, densa, troppo insistita nei particolari, questa Laudomia farà certo strada.[…].
Non toscana, Laudomia Bonanni ha il difetto di certi scrittori toscani recenti: fa sentire troppo la cavata della mano sullo strumento, non si nasconde abbastanza. La forza è il suo pregio e un poco il suo difetto. Stemprati e annacquati, diffusi in una analitica e intellettualistica atmosfera di sogno questi racconti avrebbero offerto materia a due lunghi romanzi mezzo romantici e mezzo regionali, di quelli che pubblicava una volta in Francia la Nouvelle Revue Française: libri che si ammirano sbadigliando e alla fine si rimpiange di aver letto. Laudomia Bonanni dimostra invece (anche nelle novelle più brevi: Messa funebre, Seme) di voler restare attaccata al concreto della sensazione e della verità oggettiva; e rivela perciò una forza di narratrice che non  dovrebbe fermarsi qui.

Eugenio Montale



«Questa Laudomia farà certo strada», buon profeta fu Eugenio Montale nella sua recensione uscita nel quotidiano milanese «Corriere d’informazione» del 6 dicembre 1949!
Il libro era appena uscito nella collana «Medusa degli Italiani» della Mondadori e comprendeva quattro racconti: Il fosso, Il mostro, Messa funebre e Seme.
L’anno precedente, gli «Amici della domenica» del salotto Bellonci avevano attribuito alla Bonanni il premio per l’opera inedita Il fosso comprendente due racconti Il fosso e Il mostro con l’impegno della successiva pubblicazione.
Fu un successo travolgente di pubblico e di critica. La scrittrice aquilana iniziò una lunga collaborazione con «Il Giornale d’Italia» e con altri importanti quotidiani e riviste nazionali;  giunse nel 1950 il premio «Bagutta – Sezione Opera Prima» dato ai nuovi scrittori emergenti. Il settimanale dell’Unione Donne Italiane «Noi donne» contribuì alla diffusione del volume pubblicandone diversi brani, mentre la rivista «Nuova Antologia» aveva, nel maggio del 1948, dato alle stampe il racconto Messa funebre, inserito successivamente nel libro della Mondadori.
  La rivista «Perspective» dell’ University of Lousville pubblicò The Monster nel numero 3 del maggio 1950.
  La casa editrice Textus dell’Aquila ha curato nel 2004 una nuova edizione de Il fosso con la prefazione di Carlo De Matteis.


[…], si propone qui, […], la raccolta d’esordio con la quale vinse nel 1948 il premio «Amici della domenica» del salotto Bellonci, scelta fra cinquantatré concorrenti, da una giuria di cui facevano parte Debenedetti, Baldini, Palazzeschi, Moravia. Il volume, che s’impose subito all’attenzione dei maggiori critici militanti del tempo (tra i quali Cecchi, De Robertis, Montale, Falqui, Pampaloni), concordi nel salutare la nascita di una nuova scrittrice dotata di «un’inconsueta forza narrativa», si compone di quattro racconti di diverso tono e impostazione ma legati da un’intelligente struttura compositiva che è titolo non secondario dell’unità del volume, della sua peculiare forma-raccolta.
  Si va così dal saggio neo-verista del Fosso, la novella eponima della raccolta, storia di un destino femminile rappresentato lungo tutto l’arco della sua esistenza, alla concentrata misura introspettiva di Messa funebre, al cui centro è ancora una figura di donna; dalla drammatica tessitura corale del racconto di guerra Seme, all’inquietante auto-analisi proiettata sul mondo adolescenziale del Il Mostro : una varietà di situazioni, di personaggi soprattutto femminili, di ambientazioni, di soluzioni narrative sapientemente combinate e sostenute da una maturità di scrittura che, a distanza di oltre mezzo secolo, assieme al sapore d’antan, non sembra aver perduto il dono dell’autenticità e della leggibilità.

                                                            Carlo De Matteis


 
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