Palma e sorelle - LAUDOMIA BONANNI

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Palma e sorelle

Le opere

Palma e sorelle uscito per le edizioni Casini nel luglio del 1954 e inserito nella collana «I romanzi dell’Ambra», comprende quattro racconti, Palma, Monaca di casa, Vico delle zitelle, Lotta con l’angelo, legati l’uno con l’altro dall’affinità del tono e dell’intreccio e la cui azione di svolgimento si ha prima e durante l’ultima guerra.
Tutte le narrazioni vengono fuori da quadri naturali che attingono dalla vita popolare con l’utilizzo di un linguaggio dalle punte dialettali senza schemi letterari; la sintassi è piegata all’espressione con un’abilità che denuncia la forza espressiva della scrittrice. Per la copertina l’editore scelse un’acquaforte di Luigi Bartolini che ha in primo piano il viso e parte del corpo di alcune donne in evidente stato di sofferenza.
Anche questi racconti si ritrovano, secondo diverse varianti, nelle terze pagine dei quotidiani e in riviste letterarie, prima e dopo la pubblicazione del libro. L’anno seguente alla pubblicazione, Palma e sorelle conseguì il «Premio Soroptimist International». Numerose le recensioni che misero in luce il ruolo delle figure femminili e gli ambienti che fanno da cornice ai racconti. Tra i tanti è opportuno indicare per una visione d’insieme:
  
Donne che soffrono in un incubo violetto, una coi seni promananti verso la vita, l’altra con gli occhi chiusi, una terza, sotto, accigliata, accigliata contro il mondo, come un’antica divinità d’incubo, la quarta, ad un angolo, voltata verso l’insofferenza della vita: questo è il disegno tricromico di Luigi Bartolini, che  l’editore Casini ha apposto sulla copertina del nuovo libro di racconti - quasi romanzi brevi - dell’aquilana  Laudomia Bonanni. E dentro, in stretta corrispondenza con lo stile rude e concentrato della punta secca di  Bartolini, il lettore trova quattro storie diverse, ma in qualche modo concentriche, di donne tormentose e  tormentate dalla triste solitudine arroccata della provincia italiana: tre dell’adusto Abruzzo, e una sperduta in un favoloso paese dell’Italia ancor più meridionale. […]. Il paese della Bonanni è sostanzialmente il  vecchio, tristo, a volte desolato, a volte assolato mondo provinciale meridionale, che sfocia in piazzette,  stradette e vicoli; nel quale queste povere figure messe al mondo della libidine umana muovono a loro volta le loro libidini, mal contenute dal triste costume, che grava su tutte come un piombo; smaniose e in una foia sublimata o deviata, ciascuna andando a tentoni verso il proprio oscuro destino.
Lo sguardo  che la Bonanni getta a tratti quasi rapaci sulle sue creature, è pessimistico, angosciato forse nello stesso  cuor suo per il destino comune, di cui essa pure, nata e vissuta nella provincia, è fatalmente inzuppata. Sennonché essa se ne è riscossa con una critica feroce, che si vendica nell’obbiettivazione artistica e stilistica. Esplode allora in uno stile eccezionalmente denso e concentrato, tutto scorci asintattivi e anacoluti, obliquo precipitare di espressioni l’una nell’altra rientranti, molto moderno di concezione letteraria, ma quasi un grottesco barocco.
Sembra che la Bonanni incida in sostanze dure, nocchierute come il suo stile, nel quale comunque non porta rispetto a nessuno, né a buona creanza: vi dice le parole, coniandole di suo quando occorre, che le vengono su dentro l’immagine nell’attimo creativo, e te le depone lì come resti lavici. Narra poi con un certo mistero, derivante dal fatto che la sua prosa, per quanto dura e adusta,  ha essenzialmente valori lirici, di cui anzi è carica. E quindi tira via, secondo l’immagine, che si trova davanti agli occhi interni, la porta; poco curandosi del lettore, che spesso stenta a capire. Ne deriva  una narrativa difficile, ma tanto più pregiata, e che tanto più è cara a chi gusta i valori stilistici espressivi  del verbo.
Un calligrafismo a rovescio, questo della Bonanni; che tuttavia è ben lungi dall’essere vano  gioco, perché l’oggetto di questo stile, il suo mondo narrativo, è pieno di umanità, pianto, solitudine e solidarietà umana; proprio da questo suo scavo in profondità nella psiche degli uomini, e soprattutto delle donne, nasce l’impeto addensato del suo stile narrativo. Il quale è tanto concentrato e in poco spazio  vibrato, che talvolta se ne desiderebbe una maggiore e più fluida, spontanea distensione. Così com’è, fa a volte l’ingrato effetto di una cosa forzata e a forza voluta per pezzo di bravura. […]. Cosi com’è già,  tuttavia, si può senza dubbio affermare che essa resterà nella letteratura italiana come una figura di rilievo fra le grandi narratrici: ne sarà celebrato l’adusto e il sordamente vibrato dello stile, che tanto  sorprese già in Federico Tozzi, e ne fece, a detta degli odierni stilisti, il massimo narratore della provincia italiana. Staremo a vedere i successivi sviluppi.

Giulio Cogni, Palma e sorelle, «Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 16 ottobre 1954.


In copertina , Renato Guttuso "La Paoletta" 1967

  Palma e sorelle fu ristampato nel 1968 dall’editore Bompiani con l’aggiunta dei quattro racconti de Il fosso.


 
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